giovedì 1 dicembre 2011

Un disco che adoro


Che gran disco... il live di Lou Reed che preferisco: sporco, strafottente, irriverente. Un disco ufficiale che suona come un prezioso bootleg! Pubblicato nel 1978, in pieno fermento punk, rappresenta il terzo disco dal vivo nella discografia del "lurido" (come lo chiamava il titolare di Bigi, un negozio di dischi milanese che frequentavo anni fa e che, come molti, non c'è più...). Nonostante si tratti delle registrazioni dei concerti che Reed tenne al Botton Line New York nel 1978, l'album è quanto di più lontano da una tradizionale esecuzione live: quasi tutte le canzoni non vengono cantate ma parlate e continuamente interrotte da un flusso continuo di parole, nel quale si spara a zero sul pubblico, sulla stampa musicale e su alcuni colleghi musicisti. Una specie di ironico e fluttuante blues metropolitano che, meglio del peggior Dylan, stravolge completamente i suoi pezzi più celebri, a tratti davvero irriconoscibili. Cinico e rabbioso, Reed prende in giro Patti Smith ("Fanculo Radio Ethiopia, amico, io sono Radio Brooklyn!"), l'attivismo politico ("mi ci pulisco il culo!"), la noia di dover suonare sempre le sue canzoni più famose ("Non è che non voglia suonare le vostre preferite, è che ci sono così tante favorite tra cui scegliere") e i critici musicali ("...immaginate cosa voglia dire aver lavorato per un fottuto anno intero sul vostro disco, per poi vedersi dare una B+ da uno stronzetto del Village Voice?"). Solo occasionalmente Reed arresta lo sproloquio per suonare una canzone per intero (come nel caso di Pale Blue Eyes e Coney Island Baby), divertendosi ad interrompere a metà una lunghissima Walk on the Wild Side, indispettendo non poco il pubblico presente. Però quando suona per davvero... che emozione: se non lo possedete... correte a comprarlo!!!
Un paio di curiosità: il disegno in copertina, che rappresenta una sorta di punk in giubbotto di pelle con calze a rete e reggicalze, circondato dalla spazzatura e ritratto davanti ad un muro di mattoni con scritto a vernice il titolo dell'album, è opera del disegnatore Brent Bailer che copiò l'idea di base dell'artista underground spagnolo Nazario. Lou Reed volle utilizzare il disegno senza chiedere il permesso dell'autore originale, e per questo chiese a Bailer di disegnare un'illustrazione uguale per il suo LP. Nazario intentò causa legale a Lou Reed per il copyright dell'immagine, e conseguentemente la copertina del disco in Spagna venne sostituita con una foto di Lou Reed in concerto nel suo periodo da biondo.
La seconda curiosità riguarda l'origine del titolo dell'album. E' lo stesso Reed a raccontare che, durante un concerto dell'epoca in un piccolo albergo in Quebec, un tizio del pubblico, probabilmente in stato di alterazione alcolica, si rivolse alla band urlando: "Take no prisoners Lou!" ("Niente prigionieri Lou!") e subito dopo iniziò a sbattere violentemente e ripetutamente la testa sul tavolo. Colpito dallo strano personaggio, Reed decise di utilizzare la frase del tizio come titolo del disco. Episodio che mi fa tornare in mente una splendida scena di "Hannah e le sue sorelle" di Woody Allen (esattamente al minuto 1:28 di questo video recuperato su YouTube):

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