lunedì 23 aprile 2007

Bryan Ferry & The Nazis


Bryan Ferry, dandy auctoritas dal look stropicciato-blasé-decadente, in passato alla guida della glamour-band per eccelleza Roxy Music, ha detto una fesseria... ed anche bella grossa! Intervistato dal giornale tedesco Welt Am Sonntag, si è dichiarato fervido estimatore dell’etica del Volk. Stuzzicato sapientemente dall’intervistatore, che gli ha detto di sapere che lui, Bryan, aveva soprannominato il suo studio di registrazione “Fürherbunker” (chiamare un luogo dove si canta e si suona come quello in cui la moglie di Goebbels ha ammazzato i propri figli prima di suicidarsi... un delizioso tocco di stile), Bryan si è lanciato in un inno all’estetica totalitaria. Uno stralcio: “Ma il modo in cui i Nazi si presentavano, la loro scenografia? Ma signori! Mi riferisco ai film di Leni Riefenstahl e ai palazzi di Albert Speer e i raduni di massa e le bandiere: semplicemente fantastici. Davvero bello”. Ferry avrebbe più volte usato il termine “lovely” che ha una connotazione zuccherosa lontana mille miglia dalle parate di elmetti, mandibole ariane e volitive e dal trionfo della volontà. Ora, che un uomo di sessant’anni dica delle fesserie del genere ai microfoni del paese che ha dato dignità scientifica al concetto di sterminio lascia abbastanza sbalorditi. Anche se costui è una rockstar e probabilmente non si è mai letto un libro decente su cosa sia stato il nazismo. Evidentemente fa parte dell’immagine che Bryan, proletario figlio di minatore mutatosi in gentiluomo di campagna che con l’occhio semichiuso e il ciuffo assassino scruta la profondità dell’orizzonte, si è costruito.
Non dimentichiamo che il nostro ha appena pubblicato un album, "Dylanesque" nel quale ha massacrato le canzoni di un altro Giudeo, tal Dylan nato Zimmermann: attitudine recidiva?
Può darsi che nel suo tentativo di scrostarsi dal pedigree la fuliggine della miniera per un rebranding fatto di bollicine e garden party la postura nazofila abbia una funzione puramente strumentale. Già un paio di anni fa, quando quel genio di suo figlio Otis irruppe nella camera dei Comuni per protestare contro il bando della caccia alla volpe, in una delle più irritanti messe in scena che un moccioso viziato potesse concepire, Ferry si disse “molto fiero di mio figlio” come se il pargolo avesse, non so, scongiurato un attacco terroristico o si fosse adoperato per il dialogo arabo-palestinese. Niente di tutto questo... lui voleva difendere il diritto delle upper classes a inseguire a cavallo un animaletto sfigato, terrorizzandolo a morte con trombe e mute di cani prima di ucciderlo. Ma per tornare alla gaffe teutonica di Ferry: la libertà di parola che vige, per fortuna, in Europa e in Occidente in generale non lo esime dall’essersi meritato la marea di critiche che l’hanno sommerso. E la fretta con cui il poverino ha ritratta, indica chiaramente che non ha capito la gravità della sua esternazione. Scusandosi , ha poi fatto sapere che a lui piace l’estetica nazista solo ed esclusivamente dal punto di vista della storia dell’arte. Che è un po’ il discorso tipico del nostalgico di casa nostra che ti dice che "Però il Duce ha fatto costruire dei gran bei palazzi".
Per comprendere la questione in maniera completa bisogna porre Mister Ferry in un contesto più ampio, che è quello dell’analfabetismo politico (e spesso tout-court) tipico delle rockstar. Gli esempi sono tristemente numerosi. Per esempio David Bowie, tornando dalla sua permanenza berlinese, credo fosse il 1979, salutò i fotografi "romanamente". E se le magliette con la svastica di Sid Vicious non fanno testo, a livello più profondamente subdolo e pericoloso basta ricordare il flirt malsano con il nazismo della band “madre” dell’industrial, i Throbbing Gristle, in parte condiviso da Joy Division e New Order nei primi anni Ottanta. Il problema è nato con il post-punk, quando la musica ha virato a destra, reagendo al “buonismo” del rock (fricchettone e sinistrorso) e mixando Bauhaus e Riefenstahl, il maggiolone e Weimar, tutte cose “continentali” che i musicisti inglesi, nati e cresciuti in un paese che il fascismo non l’ha mai conosciuto sul serio e ha combattuto due guerre vincendole dalla parte giusta, hanno sempre trovato intriganti e utili per liberarsi dall’eredità degli anni Sessanta e Settanta.
Al prossimo concerto di Ferry auspicherei al banchetto del merchandising un trionfo di magliette del Che, peraltro attualmente ritenute (sigh...) molto "fashion"!

1 commento:

Anonimo ha detto...

Ullalà...maltrattare così Bryan non mi è piaciuto. E poi mi sembra evidente che il discorso fosse relativo all'estetica: i film della Riefenstahl sono comq considerati dalla critica dei capolavori della cinematografia (peraltro da me nemmeno mai visti)
Insomma, non facciamo tanto rumore per nulla caro Varan.
Tuo aff.mo
Alberto