Il più bel disco di Jonsi e compagni
dalla loro costituzione nel 1994. Punto. Basterebbero i 20 minuti finali di
pura ambient per dimostrare il valore dell’album, che segue a ruota il live Inni, pubblicato l’anno scorso. La
lapidaria dichiarazione di Georg Holm, bassista del gruppo, la dice lunga sul
loro attuale stato di estatica grazia: “Valtari
è l’unico disco dei Sigur Ros che ho ascoltato con piacere dopo averlo
terminato”.
Esotismo nordico, suggestioni
artistiche che si fondono, come nel loro paese d’origine, fra elementi
apparentemente incompatibili come terra e fuoco, una magica alternanza di atmosfere
eteree che, spiazzando l’ascolto, si trasformano repentinamente in suoni più
spessi, attraverso fitte maglie di elettronica stratificata. Timbriche
lillipuziane, palpiti vaporosi, tremori bucolici. Il loro percorso artistico
intimamente rigoroso, trova in questo lavoro la definitiva conferma.
Essenziali, senza fronzoli, batteria praticamente assente sostituita da una
corposa sezione d’archi, un unico solo di chitarra con l’archetto (marchio di
fabbrica di Jonsi) peraltro breve: a volte giocare di sottrazione crea
risultati eccellenti. Il meno – come in questo caso – è meglio.
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