lunedì 13 gennaio 2020

Ciao Neil...


Una parte concreta della mia vita l'ho trascorsa al ritmo (e mai questa parola fu più appropriata...) delle varie uscite discografiche. Ricordo vividamente quando uscirono - rispettivamente nel 1982 e nel 1984 - gli album dei Rush "Signals" e "Distant Early Warning": in entrambe le occasioni mi ero segnato su ulla mia agendina il giorno di uscita nei negozi sull'agenda e puntualmente mi presentai dal mio pusher musicale di fiducia... coi soldi fra i denti! Perchè parlo dei Rush? Ormai sapete tutti della scomparsa del grandissimo Neil Peart, notizia che personalmente ho appreso fra venerdì e sabato scorso, che sta monopolizzando migliaia di account personali e di gruppi su Facebook.

Ah l'insonnia... spesso nel cuore della notte butto un'occhiata al telefonino per distrarmi (anche dalle urgenze della prostata). Notte alta e sono sveglio. Sabato alle 4:00 apprendo con un tuffo al cuore - da maldestro batterista - la tristissima notizia di uno dei miei riferimenti batteristici assoluti. Con ritardo ma con enorme sincerità, oggi voglio dire la mia su un musicista (e soprattutto un uomo) che ho sempre sentito estremamente vicino. Dopo i contributi di colleghi illustri (Mike Portnoy, Carl Palmer e molti altri) e di fan, anch'io desidero testimoniare l'ammirazione per le sue doti tecniche, per gli splendidi testi che scriveva e - soprattutto - per le sue qualità di uomo, messe a dura prova dalla vita, spesso spietata. Per chi non l'avesse ancora fatto, consiglio caldamente la lettura del suo libro "Il viaggiatore fantasma. Un anno in moto per ritrovare la vita", edito in Italia da Tsunami. 


Nel giro di dieci mesi Peart, giustamente considerato uno dei migliori batteristi di tutti i tempi, perde la figlia diciannovenne, morta in un incidente stradale e pure la moglie, incapace di superare l'immenso dramma legato al suo lutto. Due eventi tremendi che fanno di lui un vero e proprio fantasma, senza alcuna voglia di continuare a vivere. Peart decide di prendere la sua BMW R1100GS e partire senza una meta, per un viaggio durato oltre 80.000 chilometri e 14 mesi. Un viaggio che rappresenta una fuga ma anche un esilio e soprattutto esplorazione, anche dentro se stesso. Durante il tragitto Neil annota in un diario i suoi progressi e i suoi insuccessi, come tappe di un percorso catartico di dolore e guarigione... ma anche le sue avventure da viaggiatore, i meravigliosi paesaggi scoperti in sella alla sua moto, le persone che ha incontrato lungo la strada e che lo hanno portato, finalmente, a ritrovare la gioia, l'amore e la voglia di vivere. Dolcemente viaggiare... con un fluente ritmo di vita nel cuore, come diceva quel tale.


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